Condotte semi-riparatorie

Il presente articolo ha come primario obbiettivo la critica nei confronti di una norma di, oramai, non più recente introduzione, ossia l‘art. 162 ter del Codice Penale, rubricato “condotte riparatorie”, ma sarebbe meglio definirle semi-riparatorie.

Il motivo di tale asserzione deriva dalla difformità tra l’applicato ed il previsto.

L’art. 162 ter permette che si possa emettere una pronuncia di estinzione del reato “quando l’imputato ha riparato interamente … il danno cagionato dal reato … e, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”.

Orbene, partendo dal presupposto che chi scrive ritiene l’introduzione di tale istituto di assoluta importanza e gli accorda una natura più che utile in termini di deflazione dei processi per reati di lesività minore, vi è tuttavia una parte della precedente citazione che rimane, nella pratica, sovente non applicata.

Infatti, sarebbe necessario oltre al risarcimento – per esempio – di quanto sottratto alla persona offesa (anche per equivalente monetario: la macchina valeva tot, quindi ridai tot al derubato) che l’imputato effettivamente elimini le “conseguenze dannose o pericolose”; quest’ultime parrebbero un qualcosa in più del ripristinare la situazione patrimoniale precedente alla condotta criminosa; potrebbero, a titolo esemplificativo, corrispondere ad una cifra forfait di quanto sostenuto dalla persona offesa per l’acquisto di una nuova automobile, il costo dei biglietti per andare a lavoro (rimanendo nell’esempio dell’automobile); ancora, potrebbe corrispondere ad un forfettario del risarcimento dovuto a chi ha subito una diffamazione o un danneggiamento.

L’idea del “forfettario” qui suggerita, ancorché abbia presupposti e caratteristiche diverse, è già prassi nell’ambito del diritto civile, tramite le cd. Tabelle di Milano, quindi, perché non stabilirne anche per l’ambito penale così da avere un’applicazione unitaria, salvo, come già avviene, la personalizzazione.

Risulta a questo punto strettamente necessario chiarire che resta pur sempre la via della azione civile per ottenere l’intero risarcimento; azione che l’ordinamento consente proprio per il ristoro del risarcimento integrale, ma, come oltretutto insegna la Giurisprudenza più recente, perché si possa ottenere una declaratoria di cui all’art. 162 ter del Codice Penale, servirebbe eliminare anche il cosiddetto “danno criminale”.

Tuttavia, nella prassi, l’organismo giudiziario tende a far coincidere il risarcimento solamente con ciò che è stato sottratto, truffato, ecc.. , tale impostazione della prassi si ritiene non strettamente corretta, o meglio, corretta, ma che non tiene conto di un istituto che dovrebbe essere premiale purché il comportamento dell’imputato sia di più ampio respiro e di un, paventato o vero, intento risarcitorio.